Il caso in esame riguarda un paziente malato di un tumore al polmone destro. Il tumore venne preventivamente analizzato con un’indagine TAC ad alta risoluzione ma, a causa di una sbagliata valutazione del sanitari, determinata dal non riconoscimento da parte dei medesimi di un processo espansivo primitivo, il paziente subiva tutta una serie di complicanze successive fino alla morte.
L’attività medico-chirurgica, sebbene finalizzata al raggiungimento della salute del paziente, mantiene insita in sè la possibilità che tale obiettivo non sia raggiunto e che si verifichino, addirittura, eventi sfavorevoli.
La condotta professionale del medico-chirurgo, pur caratterizzata da discrezionalità circa la scelta dei mezzi da adottare, necessita comunque del rispetto del principio della lege artis e degli abituali canoni di diligenza e prudenza (art.. 1176 c.c.), oltreché di conoscenze proprie (perizia) del professionista in possesso di un livello medio di preparazione.
Il rispetto delle corrette regole di condotta professionale nel corso di un trattamento diagnostico-terapeutico, qualora si verificasse comunque un evento avverso, consentirebbe al medico-chirurgo di non dover rispondere del danno prodottosi sul paziente.
D’altro canto, proprio la prevedibilità e la evitabilità di un evento dannoso costituiscono il fondamento della responsabilità per colpa. Peraltro, nello specifico ambito della responsabilità professionale medica, gli attributi imperita, negligente e imprudente, che si applicano alla condotta colposa, postulano necessariamente la possibilità, per l’agente, di prevedere l’evento avverso.
Nell’ipotesi che l’evento avverso fosse al di fuori della prevedibilità, la condotta non potrebbe più essere qualificata come colposa e la responsabilità diverrebbe evidentemente oggettiva, mancando il fondamento del diritto penale rappresentato dalla colpevolezza morale.
In tema di danno alla persona conseguente a responsabilità medica, l’omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, in relazione al quale si manifesti la possibilità di effettuare solo un intervento cosiddetto palliativo, determinando un ritardo della relativa esecuzione cagiona al paziente un danno già in ragione della circostanza che nelle more egli non ha potuto fruirne, dovendo conseguentemente sopportare tutte le conseguenze di quel processo morboso, ed in particolare il dolore che la tempestiva esecuzione dell’intervento palliativo avrebbe potuto alleviargli, sia pure senza la risoluzione del processo morboso (Cassazione civile, sez. III, 20/08/2015, n. 16993).
In caso di processo morboso terminale tardivamente diagnosticato va risarcita la perdita della possibilità di scegliere cosa fare della salute residua fino al momento della morte (fattispecie relativa all’azione intrapresa da una donna, a cui era stato diagnosticato tardivamente un carcinoma all’utero) (Cassazione civile, sez. III, 20/08/2015, n. 16993).
L’Avv. Daniele Aliprandi del Foro di Ferrara si occupa di malasanità ed è disponibile a fornire eventuali chiarimenti o altre informazioni su questo argomento.